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Discussione: L'alimentatore: seconda parte

  1. #1
    Senior Member Danckan is on a distinguished road
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    L'alimentatore: seconda parte

    RICAPITOLO:


    Nella prima parte della guida abbiamo dato una definizione iniziale di alimentatore, descrivendo i compiti a cui è chiamato ad assolvere. A quel punto siamo passati a vedere nel dettaglio in che modo un alimentatore generico riesce a risolvere tali compiti, arrivando a dare una prima indicazione di applicazioni pratiche e commerciali come i modelli AT ed i più avanzati ATX.

    Nel dettaglio abbiamo visto che:
    • La corrente alternata entra nella presa elettrica
    • attraversa una prima parte del filtro EMI sulla presa e l'interruttore
    • attraversa la seconda parte del filtro EMI sul circuito stampato e i circuiti di controllo d'emergenza (fusibile, PTC e varistor)
    • attraversa il raddrizzatore di rete che porta la corrente in continua
    • alimenta ed attraversa il power switch che con i suoi interruttori, controllati da un'apposito circuito chiamato PWM, la riportano in alternata
    • attraversa il blocco di trasformazione, il quale per ottenere diverse tensioni può essere composto da un solo trasformatore con avvolgimenti diversi o da più trasformatori
    • tale corrente, ora portata a bassa tensione, attraversa un circuito di diodi che eseguono un secondo raddrizzamento riportandola in continua

    INTRODUZIONE:


    Quello che ci rimane da vedere è in primo luogo cosa succede a questo punto, tuttavia abbiamo prima un piccolo "debito" da pagare alla prima parte della guida. Infatti per non introdurre troppi concetti ammassati tutti insieme, alcuni dei componenti fondamentali visti sono stati trattati in forma estremamente semplificata, mentre all'atto pratico presentano una struttura lievemente più elaborata (ma neanche troppo).

    Prima di partire con la vera seconda parte della guida, mostreremo la struttura di base "completa" di power switch, trasformatore e diodi di raddrizzamento post-trasformatore.

    Fatto questo potremmo finalmente partire spediti con la seconda parte della guida su un livello già più avanzato e vedere cosa succede dopo, ovvero:
    • come da queste diverse tensioni in continua, dette tensioni primarie, si ricavano le tensioni secondarie meno rilevanti
    • come tutte queste tensioni arrivano a diverse prese esterne per alimentare i componenti del PC
    • quali sono e come possono presentarsi queste prese

    In secondo luogo andremo ad analizzare una ampia serie di soluzioni adottate nei più recenti alimentatori di qualità, per aumentare l'efficienza anche oltre il 90% come da più recenti standard 80 PLUS. Tali soluzioni possono consistere in:
    • particolari architetture nella disposizione degli elementi che abbiamo già visto (forward convert)
    • nell'aggiunta di ulteriori componenti al circuito dell'alimentatore (PFC)
    • nella sostituzione di determinanti elementi discreti del circuito con moderni componenti più avanzati ed efficienti (mosfet, circuiti integrati, ecc.)

    Il tutto sarà svolto abbandonando definitivamente parallelismi con il vecchio standard AT (utile in prima battuta per introdurre l'argomento in quanto più semplice), e facendo riferimento esclusivamente allo standard ATX.

    Infine alcuni accenni su eventuali alimentatori per PC diversi dallo standard ATX, ed una serie di FAQ e curiosità.

    POWER SWITCH:

    Come sappiamo, la tensione sui condensatori del raddrizzatore alimenta un blocco chiamato "power switch" composto solitamente da una coppia di transistor o mosfet che comanda un trasformatore (T1). Questo switch opera a frequenze elevate (da decine a centinaia di kiloherz) e trasforma la corrente continua nuovamente in alternata, in modo da passarla attraverso il trasformatore. Questa parte, assieme al controller PWM, costituisce il cuore dell'alimentatore.

    Andiamo ad analizzare più nel dettaglio questo componente:

    Sono possibili diverse configurazioni, ma una delle più classiche è quella detta half-bridge, che utilizza due transistor. Nello schema si tratta di due NPN (Q3 e Q4), che possono essere sostituiti, con gli opportuni accorgimenti, con due MOSFET nei modelli più recenti.
    I due transistor pilotano il trasformatore di uscita T1, il cui secondario è collegato ai diodi delle varie tensioni in uscita.


    L' alimentazione è derivata dal raddrizzatore di rete visto prima e sfrutta la tensione HV e HV/2. Il segnale di pilotaggio dei transistor arriva dal controller PWM attraverso un piccolo trasformatore (T2), un avvolgimento del quale funge anche da sensore di corrente. La necessità di T2 è dovuta al fatto che solitamente il controller PWM si trova sul lato a bassa tensione e deve essere quindi isolato dalla parte del circuito in contatto con la tensione di rete, onde evitare pericoli per l' utilizzatore. Le dimensioni di T1 e T2 sono molto ridotte in quanto lavorano a frequenze elevate. I due transistor dissipano una certa quantità di calore dovuta alle perdite della commutazione, per cui vanno fissati obbligatoriamente su un dissipatore di calore.

    E' opportuno accennare ad un particolare che certamente sfugge a molte analisi, ovvero il fatto che l' alimentatore dispone di numerose uscite, ognuna delle quali alimenterà i carichi più diversi, a seconda della configurazione del computer, ma TUTTE dipendenti da UN SOLO switch! E questo è il principale limite di questo genere di alimentatori: da una parte consente costi e volumi estremamente contenuti, mentre dall' altra riduce la qualità delle tensioni in uscita. Se questo rende parecchio problematica la faccenda della stabilizzazione, si è reso necessario adottare particolari soluzioni costruttive per evitare che il prevalere di un carico su una tensione sbilanci pericolosamente le altre linee. Vedremo più avanti come viene risolto il problema.

    IL TRASFORMATORE:


    A questo punto arriviamo al trasformatore, che fino ad adesso abbiamo semplificato per trasformare idealmente una sola tensione. In realtà la corrente ad alta frequenza passa attraverso il trasformatore che rende disponibili diversi avvolgimenti per i vari rami delle basse tensioni. Generalmente il trasformatore è del tipo a presa centrale, con secondari simmetrici per permettere una rettificazione a doppia semionda con due soli diodi invece che con un ponte; questo aumenta costo e dimensioni del trasformatore, ma migliora decisamente il rendimento. La presa centrale è comune alle varie tensioni che hanno tutte il ritorno su una sola massa.
    Nell'esempio schematizzato qui sotto, la maggior parte della potenza è concentrata sul secondario relativo al 5V, dal quale si deriva anche il +3.3V, che è avvolto con filo di grossa sezione e dispone di più pin (8,9 e 10,11) per ridurre la resistenza.


    La fotografia consente di comparare le dimensioni del trasformatore (un modello non troppo recente proveniente da un alimentatore da 300W) con una moneta da 20cent. L'immagine è ripresa dal lato secondario ed in primo piano è posto il cavo di grossa sezione del comune.

    Il rettangolo rosso sullo schema elettrico evidenzia il collegamento a terra di alcuni pin del trasformatore dal lato del primario, che corrispondono allo schermo necessario a ridurre il campo elettromagnetico disperso.

    Il nucleo del trasformatore non è in lamierini di ferro come i normali trasformatori di rete, ma in ferrite, ovvero un materiale sintetico formato da polvere di ferro e composti ceramici. Le dimensioni del trasformatore sono molto contenute. Questo è possibile grazie alla elevata frequenza di lavoro del PWM; un equivalente trasformatore a 50Hz sarebbe grande varie volte di più e peserebbe oltre un chilo. Le dimensioni, quindi, sono in funzione anche della frequenza di lavoro, per cui, ad una maggiore frequenza, corrispondono dimensioni minori.

    I DIODI POST-TRASFORMAZIONE

    Anche per i diodi di raddrizzamento di questa fase, bisogna tener conto che ci sono diverse tensioni d'uscita dal trasformatore. Inoltre come ulteriore ottimizzazione, a differenza del circuito iniziale di raddrizzamento di rete, è prevista un'ulteriore ottimizzazione: lo schema tipico prevede che il trasformatore disponga di secondari a presa centrale, la quale è collegata alla massa comune; in questo modo è possibile un raddrizzamento a due semionde utilizzando una sola coppia di diodi invece dei quattro del ponte di Graetz, oltre al fatto che ogni semionda ha in serie la caduta di tensione di un solo diodo e non di due, migliorando il rendimento. Il costo e la complessità realizzativa di un trasformatore a doppio avvolgimenti è compensato dalle migliori prestazioni.


    Detto questo possiamo introdurre finalmente lo schema di raddrizzamento tipico tenendo in conto le differenti tensioni di alimentazione:


    I diodi del ramo +5V e +12V sono costituiti da un unico componente che integra i due diodi, mentre quelli del ramo delle tensioni negative sono componenti singoli, di piccole dimensioni. Su di essi e poi posto un apposito dissipatore metallico, data la necessità di raffreddare energicamente i diodi sottoposti alle fortissime correnti che li attraversano e sollecitati dalla elevata frequenza di commutazione. Inoltre i diodi sono corredati, per una maggior affidabilità, da appositi circuiti R-C che hanno la funzione di spegnimento di eventuali transitori di sovratensione dipendenti dalle forti correnti di commutazione.

    Per ottimizzare l'efficienza, si impiegano diodi Schottky o Fast Recovery particolarmente studiati per questo genere di applicazioni, in modo da avere la minima resistenza diretta di conduzione (anche inferiore a 0,5V) e i tempi di commutazione il più possibile ridotti, dell' ordine dei nanosecondi, in quanto viene persa energia in calore sia per effetto della resistenza interna del diodo, sia durante le transizioni dalla conduzione al blocco. Nonostante ciò, questi circuiti integrati scaldano in maniera non trascurabile, proprio come i transistor del power switch e gli altri chip integrati che commutano il segnale; di conseguenza sarà necessario applicare a tutte queste parti un'apposito dissipatore a contatto diretto:


    In foto il componente più grosso è il doppio diodo per la linea a 5V, quello piccolo per la linea a 12v, mentre, non inquadrato, sul retro si intravedono i tre connettori del diodo per la linea da 3.3V in prossimità di quello per la 5V. In rosso le misure in millimetri. La cosa importante di questo contatto tra chip e dissipatore è notare la plastica termo-conduttiva che separa dissipatore e chip per isolare il componente elettricamente, tale soluzione è fondamentale per garantire una corretta dissipazione senza rischi di dispersione o falsi contatti.


    IL CIRCUITO D'USCITA

    Arrivati a questo punto possiamo andare finalmente a vedere cosa succede e come fare per trasportare tutte le diverse tensioni correttamente trasformate, raddrizzate e stabilizzate verso i componenti del computer che andranno ad utilizzarle.

    LE BOBINE D'USCITA


    Le tensioni di uscita arrivano al fascio di conduttori che le porteranno fuori dall'alimentatore passando attraverso un filtro LC che non ha solo funzioni di riduzione del ripple. L' elemento principale, infatti, è la bobina L1, che è costituita da un grosso toroide di ferrite su cui sono avvolti diversi circuiti.

    Lo scopo di avvolgere sullo stesso nucleo bobine attraversate da correnti di circuiti diversi è quello di fornire una stabilizzazione alle tensioni in uscita ed evitare che una variazione di carico su un ramo si rifletta negativamente sugli altri.

    Abbiamo già accennato che questo tipo di alimentatori dispone di UN SOLO switch che comanda un solo trasformatore con numerosi secondari, da cui si derivano le varie tensioni.
    Nella breve trattazione teorica del funzionamento di un alimentatore switch mode abbiamo accennato al fatto che la stabilizzazione della tensione prodotta viene effettuata variando il duty cicle del PWM.
    Supponiamo di avere uno switch e una tensione : la tensione, a causa del carico, varia e il feddback comanda il tempo on/off del PWM fino a riportare la tensione nei limiti voluti. Sembrerebbe perfetto, però manca una importante considerazione : si fa conto di UN PWM da cui deriva UNA tensione. Ma se le tensioni derivate sono più di una ?

    Il problema sorge dal fatto che certamente il carico sulle varie linee sarà variabile e a quale linea si dovrà fare riferimento per controllare il PWM ? Perchè è evidente che se aumento il duty cycle per compensare un aumento di carico sulla linea a +5V, varierà in proporzione anche il valore della tensione anche sulle altre linee, che non ne hanno bisogno non essendo variato il loro carico !

    Come fare, allora ? Una soluzione relativamente semplice ed efficace è ottenuta con la cross-regolazione delle correnti di uscita, sfruttando gli effetti delle correnti stesse su bobine strettamente concatenate.

    Supponiamo che il carico sul +5V aumenti e quindi sia richiesta una maggiore potenza; la corrente tende ad aumenta e, a aprità di duty cycle, la tensione di conseguenza diminuisce. Occorre aumentare la tensione per riportarla al giusto valore, aumentando il tempo di on dello switch : il controller PWM riceve dal feeedback la richiesta e aumenta il duty cycle; il +5V ritorna al giusto valore.
    Però, la corrente in uscita passa attraverso una bobina in serie, avvolta assieme ad altre, pure in serie alle altre tensioni, su uno stesso nucleo : se il carico sul +5V aumenta, aumenta di conseguenza la corrente nella bobina in serie, quindi il campo magnetico relativo. Questo si concatena con le altre bobine ed il suo amento va a SOTTRARSI agli altri campi magnetici per cui riduce le altre tensioni, che non crescono oltre un piccolo margine.
    Questo sistema consente di mantenere costanti tutte le tensioni entro valori accettabili.

    Lo schema seguente riporta un esempio di applicazione tipica :
    Si può osservare che la bobina L1 è composta da tre avvolgimenti :
    - L1a in serie alla tensione negativa da cui viene derivato -5 e -12V
    - L1b, avvolto trifilare per aumentare la sezione e ridurre la resistenza, in serie al +5V
    - L1c in serie al +12V
    quindi la sua funzione regolatrice si esplica su questi tre rami.


    Negli alimentatori moderni, essendo la linea a 12V quella principale, il triplo avvolgimento L1b è solitamente spostato su quest'ultima. C'è quindi un inversione tra L1c ed L1b. Inoltre per non complicare ulteriormente il disegno, è stata omessa la linea 3.3V e -3.3V.

    Generalmente questa sezione è posizionata fisicamente sul circuito stampato vicino all' area di uscita dei cavi a bassa tensione. Nell' immagine sotto è visibile la zona dei filtri di uscita.


    E' ben visibile la bobina L1, avvolta in filo di rame isolato con smalto rosso. Le frecce verdi identificano altre bobine facenti parte dei filtri di uscita. Si nota l' affollamento dei componenti, molto vicini tra di loro, sia per ragioni di spazio sia per la necessità di mantenere i collegamenti più corti possibile. Subito accanto ai filtri sono saldati i fasci di conduttori colorati che terminano con i connettori verso la scheda madre e le periferiche.

    A seconda di come è realizzata questa parte e come opera il circuito di feedback, si ottiene una più o meno elevata stabilizzazione delle tensioni di uscita al variare del carico, che risulta quindi fondamentale per i classici test di stabilità di tensione al variare del carico che vengono eseguiti durante le recensioni.

    A seconda dal valore di induttanza richiesto e della corrente, queste bobine assumono dimensioni diverse ed anche la frequenza di lavoro del PWM è determinante per la loro realizzazione, in quanto a valle dei diodi sono attraversate da una corrente raddrizzata, ma pulsante.

    Tipicamente sono avvolte su nucleo toroidale, dotato o meno di una base per facilitarne la saldatura sul circuito stampato.


    Nella foto sopra, una selezione di vari modelli tipici; una moneta da 20 cent da l' idea delle dimensioni reali. Le bobine più grosse ovviamente sono quelle adatte ad alimentatori di maggiore potenza. Il diverso colore del filo di rame dipende dal tipo di smalto con cui è isolato.

    Se lo squilibrio fra le varie linee è molto ampio, il sistema di bobine potrebbe non esser sufficiente per garantire una sufficiente stabilità. Ad esempio, gli alimentatori più recenti dove la linea a 12V è predominante, potrebbe non essere idoneo per essere utilizzato su un sistema vecchio dove viene usata principalmente la linea a 5V e viceversa. Il problema di cross-regulation rimane quindi una questione centrale da analizzare caso per caso a seconda dello specifico progetto dell'alimentatore. Per tale ragione dallo standard ATX 2.01 in poi sono state introdotte restrizioni che limitano la massima oscillazione nelle situazioni più critiche a massimo ±5% rispetto alla tensione nominale.

    Il multi-rail

    Un'altra soluzione che è ormai consolidata negli alimentatori più recenti per incrementare la stabilità e rientrare nei parametri massimi di cross-regulation è quella di dividere la potenza della linea a 12V su più canali diversi ed attenuare quindi gli squilibri verso le altre linee d'alimentazione. Questo perchè la linea da 12V solitamente è utilizzata per alimentare schede video dal carico di centinaia di W, che arreca potenzialmente maggior squilibrio sulle altre linee se non opportunamente trattato. Inutile dire che in questi casi lo schema si complica ulteriormente rispetto alla soluzione 12V mono-linea visto fin qui.
    Ultima modifica di Danckan; 16-04-2012 alle 14:49
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    FATTI NON FOSTE PER VIVER A DEFAULT MA PER SEGUIR VIRTUDE ED OVERCLOCK!

  2. #2
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    IL FILTRO DI USCITA

    Arrivati a valle della bobina di cross regulation, la tensione è raddrizzata e stabilizzata, ma è ancora affetta da una forte componente alternata sovrapposta, che va eliminata con il tipico filtro LC a bobina e condensatore.


    Nell' immagine sopra è visibile l' area relativa ai filtri di uscita. La lettera L indica le bobine, la lettera C i condensatori. La bobina L1 è quella della cross regulation. Si nota l' affollamento dei componenti, molto vicini tra di loro, sia per ragioni di spazio sia per la necessità di mantenere i collegamenti più corti possibile. Subito accanto al filtro di uscita sono saldati i fasci di conduttori colorati che terminano con i connettori verso la scheda madre e le periferiche.

    Riprendendo lo schema di esempio, si può osservare che, prima dell' uscita, ogni ramo passa attraverso un gruppo costituito da uno o due condensatori e da una bobina :
    • L7 e C16 sono comuni alle tensioni negative
    • L9 e C24 riguardano la linea a +12V
    • L8 e C20/21 quella a +5V


    Il valore dei condensatori è significativo per riduzione del ripple ed è proporzionale alla corrente che deve essere erogata dal circuito; Nel periodo in cui è stato realizzato questo alimentatore, la tensione a +5V era quella principale per i circuiti integrati sulla scheda madre, quindi quella sulla quale era richiesta la migliore qualità di uscita, questo spiega perchè su tale linea ci sia un valore del condensatore più alto e un filtro più raffinato composto da 2 diodi + 2 condensatori. Inutile dire che i due rettangoli blu evidenziati si invertono sui più recenti alimentatori dove la tensione privilegiata è quella a 12V.

    Le bobine, che sono in serie ad ogni ramo, devono sopportare le intense correnti (anche varie decine di ampere) che circolano sulle basse tensioni senza introdurre cadute di tensione significative, per cui sono avvolte su ferrite con filo di rame smaltato di notevole sezione. La realizzazione delle bobine dipende dal valore di induttanza richiesto e della corrente; anche la frequenza di lavoro del PWM è determinante per la loro realizzazione. Inoltre, ogni costruttore impiega procedimenti e materiali diversi. Così, esse possono assumere le forme più varie.


    Nella foto sopra, una selezione di vari modelli tipici; una moneta da 20 cent da l' idea delle dimensioni reali di questi componenti, che possono essere avvolti su nuclei cilindrici (come quelle della fila superiore) oppure su nuclei toroidali, come quelle della fila inferiore. Quelle avvolte con filo di sezione maggiore sono quelle in serie alle tensioni primarie, dove circolano le correnti maggiori : il grosso conduttore riduce la resistenza a millesimi di ohm.

    CONVERTITORI DC-DC E FOCUS SULLE TENSIONI

    Come ultimo passo prima di far uscire le tensioni dal nostro alimentatore, andiamo a capire cosa esse andranno a fare ed alimentare all'interno del computer in modo preciso. Questa analisi ci porterà a descrivere un'ultimissimo componente presente opzionalmente tra il filtro d'uscita e i tanti agognati cavi di connessione:
    • +12V: Da sempre è la tensione tipica dei motori di CD, DVD, dischi rigidi, floppy, ventole ed ogni altro dispositivo che contenga una motorizzazione. Inoltre negli ultimi anni, il +12V ha ampliato le sue applicazioni diventando la sorgente principale dei regolatori on board (VRM) per ragioni che vedremo più avanti, e va quindi ad alimentare Processore e Schede Video, diventando di fatto la tensione di alimentazione predominante per la quale è riservata solitamente circa il 90% della potenza massima.
    • +5V: Era la tensione predominante degli alimentatori più vecchi, in quanto è quella tipica dei circuiti integrati TTL e CMOS, ma ormai questa tipologia di circuiti è estremamente ridotta sui componenti del computer.
    • +3.3V: In un primo tempo, la necessità di ridurre la tensione di alimentazione del core dei processori ha portato all' introduzione del +3.3V. Per adeguarsi alla nuova necessità di prestazioni, la riduzione degli spessori dei chips si è estesa anche a molti altri componenti e sono nate famiglie logiche, chipset, RAM, Flash alimentate non più a 5 ma a 3.3V.
    • +5sb: Va ad alimentare alcune parti della scheda madre ed eventualmente la scheda di rete, la tastiera, il mouse o il modem interno, quanto il computer è spento o in sospensione; ma non la CPU nè i suoi circuiti collegati, come la memoria, i driver del bus, ecc. In sostanza alimenta solo quelle parti del circuito che permettono l' avviamento, sia da eventuali periferiche che da remoto che dal pulsante d'accensione sul case. La potenza richiesta sulla tensione di stand by è piuttosto piccola, il suffisso "stand by" viene abbreviato ed aggiunto alla fine del nome "+5V" in svariati modi: sb, sby, stby; ma significano tutti la stessa cosa.
      Infine va anche ricordato che la Vstby alimenta parte del chipset e l'area della RAM CMOS, allungando la vita della batteria di backup, che, a PC connesso alla rete, non viene utilizzata ed entra in funzione solo quando lo stacchiamo dalla presa oppure, se disponibile, lo spegniamo con l'interruttore posto sull' alimentatore. Se la linea 5Vsb è connessa quindi, non è possibile cancellare il contenuto della RAM CMOS della scheda madre e resettare il BIOS; e per questa ragione, spesso per resettare il BIOS sarà necessario anche staccare l'alimentatore dalla rete (staccando il cavo o con apposito interruttore sul retro) oltre che azionare il jumper che esclude la batteria.
    • -12V: era necessaria per la polarizzazione di chip in tecnologie obsolete, ma ha ancora la funzione di alimentare l' interfaccia RS-232 (che solitamente utilizza +12V e -12V) o schede particolari, ma non molto di più, anche perchè la tendenza attuale è generare on board le tensioni diverse dalle principali (oltre al far sparire seriali e parallela). Quindi la -12V è desinata a essere prima o poi eliminata; già ora, la corrente disponibile su questa linea è solitamente inferire ad 1A, proprio perchè praticamente non più richiesta dai circuiti delle attuali schede madri.
    • -5V:leggendo le caratteristiche degli alimentatori più recenti, i più attenti avranno notato che la tensione -5V non è più presente.
      Questo è dovuto al fatto che -5V era necessaria per alimentare i circuiti integrati realizzati nelle prime tecnologie MOS, che richiedevano molteplici tensioni positive e negative; attualmente questa tecnologia è obsoleta, sostituita dalla CMOS e successive, per cui il -5V non è da tempo richiesto da alcuna scheda madre. Quindi, nelle release più recenti, viene eliminato in quanto inutile. Dove ancora presente per una possibile compatibilità all' indietro, può fornire correnti molto piccole, al di sotto di 1A.

    Come visto, per generare le 3 tensioni principali (+3.3V, +5V e +12V) è utilizzato un unico trasformatore con tre avvolgimenti, oppure direttamente 3 trasformatori distinti opportunamente concatenati (come vedremo più avanti). La quarta "tensione speciale" ovvero la +5Vsb è derivata direttamente dal trasformatore che genera la +5V. Infine le tensioni negative -12V e -5V poco importanti che costituiscono di fatto un "residuo d'evoluzione" dell'alimentatore, possono essere generate localmente sul PCB dei componenti che le richiedono tramite un VRM e quindi non essere neanche contemplate nello schema interno dell'alimentatore. In alternativa esse possono esser fornite, data la loro bassissima potenza, dall'alimentatore tramite piccoli chip integrati posti prima dei cavi d'uscita che integrano in un solo chip tutte le funzioni di riduzione e stabilizzazione. Tali chip prendono il nome di convertitori DC-DC.


    Qui in alto un classico convertitore DC-DC. si tratta di un comunissimo elemento integrato che svolge tutte le funzioni di riduzione e stabilizzazione in un unico componente a tre terminali (TO-220). Un piccolo radiatore alettato è sufficiente per dissipare il calore generato dalla caduta di tensione sul regolatore. A destra è visibile una resistenza di carico minimo (R20) necessaria per la stabilità. Più in generale i convertitori DC-DC possono essere realizzati anche diversamente, ma si tratta comunque di residui di tecnologie obsolete di poca importanza, necessari per mantenere retro-compatibilità con hardware vecchio, ma destinati a scomparire definitivamente nei prossimi anni.

    I CAVI

    I cavi sono uno degli elementi più evidenti dell'alimentatore. Dato che le potenze vengono portate a basse tensioni, è necessario che il cavo abbia uno spessore generoso, in modo da poter portare tutti gli Ampere necessari a generare la potenza complessiva erogata.

    Come prima cosa, per portare la corrente ai componenti del computer, i cavi devono essere connessi all'uscita del circuito dell'alimentazione che abbiamo visto. Questo è possibile in due modi:

    Il primo modo è saldando direttamente i cavi sul PCB principale in corrispondenza delle rispettive linee di tensione. In tal modo i cavi saranno indissolubilmente fusi con l'alimentatore stesso e fuoriusciranno dal case dell'alimentatore tutti insieme. Un'alimentatore che utilizza questo sistema si definisce non modulare e rappresenta la soluzione più classica, oggi in uso sugli alimentatori di fascia bassa per contenere i costi. Dato che il produttore non potrà sapere a priori quali saranno i cavi necessari per alimentare lo specifico hardware, ne mette una gran quantità di diverso tipo, con il risultato che, dopo il montaggio, una grossa massa di cavi inutilizzati resta ammassata e penzolante all'interno del case del PC.


    Il secondo modo prevede il trasporto delle linee di tensione dal PCB principale ad un'altra piastra interna all'alimentatore. Sul lato della piastra che guarda verso l'esterno sono poi presenti dei connettori, che permettono di attaccare e staccare manualmente dall'esterno i cavi. In tal modo sarà possibile connettere all'alimentatore solo i tipi e il numero di cavi che serviranno effettivamente per alimentare la specifica configurazione hardware del PC in uso. Questa soluzione permette una notevolissima diminuzione del volume dei cavi che fuoriescono dall'alimentatore, a tutto vantaggio dell'ordine, dell'areazione del case principale del computer e dell'estetica. Tali alimentatori si definiscono modulari.


    Nella realtà la soluzione più diffusa è quella "ibrida" tra le due e tali alimentatori vengono definiti parzialmente modulari. Ovvero con i pochissimi cavi sicuramente fondamentali per alimentare un qualsiasi computer che vengono fusi in maniera non modulare, mentre gli altri cavi che possono servire o meno a seconda della configurazione hardware vengono resi modulari, in modo da ottenere tutti i vantaggi di un'alimentatore completamente modulare ed in più la praticità di avere i cavi che sicuramente verranno usati già connessi.


    Nella foto sotto un alimentatore parzialmente modulare che riassume un pò tutti i casi possibili: alcuni cavi (freccia rossa) partono dal PCB per finire alla scheda posta in verticale (freccia blu), la quale si occupa di smistare le linee delle diverse tensioni ad appositi connettori raggiungibili dall'esterno (freccia viola) e a cui possono essere connessi a loro volta i cavi d'alimentazione veri e propri. un'altro fascio di cavi (più a sinistra della freccia rossa) invece esce direttamente dal chasiss dell'alimentatore tramite un semplice foro e vanno a raggrupparsi in un'apposita retina di sleeving costituendo direttamente i cavi d'alimentazione.


    Il colore dei singoli cavi che fuoriescono dall'alimentatore indicano che tipo di linea rappresentano, possiamo sintetizzarli secondo lo schema sottostante:
    • + 5V: rosso
    • + 12V: giallo
    • + 3.3V: arancio
    • - 5 V: bianco
    • - 12 V: blu
    • + 5 Vstby: viola
    • Massa (GND): nero
    • PowerON: verde

    Questi cavi singoli si raggruppano poi in connettori specifici che vanno ad alimentare le periferiche. Quindi all'altra estremità del cavo sono invece presenti i diversi tipi di connettore a seconda della tipologia di dispositivo che bisogna alimentare. Dato che un singolo connettore integra più cavi, negli alimentatori di buona qualità (come quello nella foto sopra) tutti i cavi relativi ad un singolo connettore possono essere raggruppati tra loro in modo ordinata tramite una retina che li riveste e che viene fissata alle estremità da un'apposita guaina termo-stringente; tale procedura prende il nome di sleeving.

    Andiamo a vedere allora quali sono i possibili connettori di alimentazione che è possibile trovare all'altro capo del cavo e che si congiungono direttamente alle periferiche da alimentare.

    I connettori sono basati su una serie prodotta da Molex, AMP e altri costruttori. Si tratta di supporti in plastica isolante in cui sono inseriti contatti (i pins) in metallo antiossidante.
    Il collegamento tra cavo e pin è "crimpato" (dall' inglese to crimp), ovvero collegati al cavo con un serraggio meccanico effettuato con speciali pinze e sono inseriti a scatto nella parte isolante; per estrarli occorre un attrezzo adeguato (tirandoli non si ottiene nulla). Inoltre dispongono di un semplice sistema elastico per trattenere meccanicamente la parte volante e la parte fissa. Per scollegare le due parti occorre sollevare la parte elastica sul connettore volante prima di tirare.


    Molto importante per il resto del discorso è il fatto che i connettori sono polarizzati, ovvero dispongono di sagome tali da consentire l' inserzione in un solo verso, senza possibilità di effettuare un collegamento errato.

    Molex 24 pin (oppure 20+4 pin) Motherboard:


    E' il cavo fondamentale d'uscita dell'alimentatore. Porta tutte le tensioni possibili alla scheda madre, che poi le gestisce sulle sue piste interne e le smista ai componenti ad essa collegati. Inizialmente questo molex era a 20 pin, poi portato a 24 pin per poter trasportare maggior potenza alla scheda madre. E' ancora possibile trovare quindi molex modulari 20+4 pin in modo da essere retro-compatibili anche con le schede madri più vecchie.


    I due standard 20 pin e 24 pin sono meccanicamente ed elettricamente compatibili tra loro, tuttavia se una scheda madre richiede un'alimentazione a 24 pin è "consigliabile" assecondarla con lo standard corretto per evitare qualsiasi problema di malfunzionamento sotto pieno carico.

    Molex 8 pin (oppure 4+4pin) CPU:


    Porta l'alimentazione aggiuntiva a +12V e la massa alla CPU. A seconda del modello di scheda madre tale può essere richiesto un connettore a 4 pin oppure 8 pin per portare una maggiore corrente, quindi tali connettori possono essere a 4 pin, 8 pin oppure a 4+4 pin, ovvero una struttura che permette di sganciare/agganciare due molex 4 pin per supplire a tutte le necessità. La forma delle plastiche isolanti sono sagomate in modo tale da impedire l' accoppiamento meccanico se non in una unica posizione: questo prende il nome di polarizzazione e serve ad evitare la possibilità di una inserzione errata (e distruttiva per i circuiti alimentati) tra la parte maschio e quella femmina. Inoltre, tutti questi connettori dispongono di un sistema di aggancio che serve ad evitare la separazione involontaria della connessione.

    NOTA: Indicare che un'alimentatore possiede un molex motherboard fino a 24pin e un molex CPU fino a 8 pin, può essere sintetizzato con lo standard EPS12V che indica le due cose insieme.

    Molex 8 pin (oppure 6 pin, oppure 6+2 pin) VGA:


    Trasporta alimentazione aggiuntiva a +12V e la massa alle schede video più esose di corrente. Infatti, nonostante esse ricevano già 75W di potenza dal loro aggancio PCI-Express sulla scheda madre, questo potrebbe non essere sufficiente. La forma del molex è molto simile a quello per la +12V della CPU ma quella delle plastiche dei pin è resa meccanicamente incompatibile per evitare montaggi sbagliati. A seconda dell'alimentazione richiesta dalla scheda video possono essere necessari molex a 6 oppure 8 pin, ragion per cui spesso si presentano con una struttura modulare 6+2 pin agganciabili per ottenere gli 8 pin.

    Alimentazione SATA:


    E' il cavo di alimentazione di più recente introduzione. Prevede il trasporto delle linee +12V, +5V e della massa. E' solitamente utilizzata per alimentare Hard Disk, SSD ed unità ottiche. Talvolta può essere curvato di 90° per contenere gli spazi ed adattarsi meglio all'installazione delle periferiche.

    Molex 4 pin:


    E' il più classico dei molex e trasporta le line +12V, +5V e la massa. E' di uso generico e può alimentare ventole, LED, oppure i vecchi Hard Disk e unità ottiche con interfaccia IDE, poù altre periferiche varie come FAN Controller, Pompe di impianti a liquido ecc.

    mini-molex 3 pin:


    Non è presente di solito direttamente sull'alimentatore ma si ottiene tramite un'adattatore al molex 4 pin generico. Questo formato è solitamente utilizzato per alimentare le ventole più moderne con un ingombro molto ridotto.

    Molex FDD:


    Veniva utilizzato per alimentare solitamente i lettori Floppy Disk e trasporta le linee a +12V, +5V e la massa. Andando in disuso le unità Floppy, questo tipo di connessione sta rapidamente andando in disuso anch'essa.

    Ultima modifica di Danckan; 11-04-2012 alle 16:57
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  3. #3
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    I VRM


    Se vogliamo chiudere il cerchio e far quadrare definitivamente tutto il discorso dell'alimentazione del computer, ci tocca fare una piccola parentesi al di fuori dell'alimentatore e dei suoi cavi. Come abbiamo visto, nei recenti alimentatori ATX la tensione privilegiata è quella a +12V, che viene portata oltre che alla scheda madre anche sotto-forma di alimentazione aggiuntiva a CPU e GPU. Tuttavia come sappiamo, questi chip lavorano a livelli di tensione decisamente più bassi rispetto ai +12V, operando in un valore compreso tra 1-2V. Idem per quanto riguarda i più moderni moduli di memoria DDR3 o successivi.

    Perchè viene trasportata una tensione così diversa da quella reale a cui operano i chip e come fanno questi a rivacare la propria tensione di alimentazione? Vediamoli insieme.

    La scelta di trasportare la corrente a +12V è fatta perchè aumentando la tensione può essere trasportata la stessa potenza con una corrente più bassa (ricordiamo la formula P = I * V). Avere una corrente più bassa significa poter utilizzare cavi più piccoli e maneggevoli, con punti di contatto (e quindi dispersioni) più piccoli e meno soggetti a surriscaldamento. E' un pò lo stesso motivo per cui la corrente della presa elettrica di casa viene trasportata a 230V e non a quella dei comuni elettrodomestici casalinghi.

    Per trasformare poi queste tensioni in quelle effettivamente utilizzate dai vari componenti è stato implementato l'uso intensivo di moduli VRM (Voltage Regulator Module , modulo di regolazione della tensione) di tipo switch mode direttamente sul PCB del chip da alimentare, nelle sue immediate vicinanze. Tale agglomerato di VRM insieme ad altri circuiti stabilizzatori costituiti da condensatori costituisce la tanto spesso citata "circuiteria di alimentazione" dei vari processori, schede video ecc.

    Questo moduli sono veri e propri alimentatori di piccole dimensioni che localmente, nei vari punti più opportuni del PCB, convertono una tensione nel valore minore necessario a quella specifica funzione logica. Inizialmente questa tecnologia è stata impiegata all' epoca dei 586 e del socket 370, quando i riduttori di tensione di tipo lineare avevano raggiunto il loro limite per le forti correnti richieste; sono ora diventati parte essenziale del sistema di alimentazione delle nuove CPU, capaci di consumare varie decine e decine di watt con tensioni di 1,1-1,5V, il che vuol dire molte decine di ampere. Ma dato che la distanza fisica tra il VRM e il suo carico è minima, essendo entrambi sullo stesso circuito stampato, sarà ridotta al minimo anche la caduta di tensione sui conduttori di collegamento e ridotti pure i problemi di qualità dell'alimentazione su circuiti così sensibili come quelli logici. I moduli VRM attuali, per minimizzare la corrente di ingresso, utilizzano la più alta tensione disponibile nel PC, ovvero il +12V.

    Questi VRM lavorano a frequenze molto elevate: esistono possibilità di raggiungere il megaherz e più! Questo riduce drasticamente la grandezza delle bobine, dei condensatori e dei semiconduttori impiegati nella zona circostante alla CPU o GPU rispetto a quelli usati nell'alimentatore. Tali circuito solitamente hanno una tipologia del tutto identica allo schema utilizzato nella prima parte della guida per spiegare il funzionamento del sistema a commutazione, ovvero transistor, diodo, gruppo LC e regolatore, funzione questa svolta da circuiti integrati realizzati ad hoc.

    Nelle foto seguenti sono visibili alcune soluzioni VRM attorno alla CPU, che è il componente a maggior consumo e tensione minore. Da notare che le sezioni dello switch possono essere anche multiple, a 3 o più fasi, a seconda della potenza richiesta. Questo è opportuno perchè, suddividendo il carico della commutazione su diversi gruppi MOSFET-diodo, si migliora il rendimento e la qualità della tensione, mentre si riduce la necessità di dispositivi di raffreddamento per i semiconduttori (può capitare di trovare tiepidi i transistor di commutazione e calde le bobine). Ecco quindi spiegato anche il famoso termine "fasi di alimentazione" della CPU e perchè averne di più è meglio.

    Come detto, nei più recenti processori, le frequenze sono talmente alte da permettere una miniaturizzazione assoluta dei componenti. Per poter "vedere" meglio cosa succede allora ci affidiamo a due esempi un pò più vecchi che però conservano il medesimo principio di funzionamento delle schede madri più recenti, con l'unica differenza che i componenti sono più facilmente identificabili:

    Nel Primo esempio un VRM a canale singolo per alimentare il core di una CPU socket A. Data l' efficienza del circuito che lavora a frequenze dell' ordine del centinaio di kiloherz, sia il MOSFET che il diodo non necessitano di dispositivi di raffreddamento e sono saldati direttamente sul circuito stampato (surface mount). Le bobine sono di dimensioni molto ridotte, dal caratteristico colore giallo che indica la gradazione della ferrite toroidale su cui sono avvolte e rosso del filo di rame smaltato. Il condensatore di filtraggio, per ridurre l' induttanza e aumentare la disponibilità di corrente è costituito da un gruppo di quattro pezzi in parallelo : questo riduce l' induttanza e migliora le prestazioni.


    Nel secondo esempio, invece, c'è un VRM a 4 fasi che alimenta il core di una CPU socket 478. Osserviamo come ogni gruppo di switching, costituito come nel caso precedente da MOSFET, diodo e bobina, è ripetuto quattro volte; questa soluzione, necessaria data la maggior richiesta di potenza delle CPU P4, permette di avere un alto rendimento ed una bassa perdita in calore, tanto che, come nel caso precedente, i semiconduttori non necessitano di radiatore. Anche qui, il condensatore è in realtà un gruppo (nel rettangolo rosso) di ben sei unità. La necessità di posizionarli fisicamente quanto più vicino possibile al processore è limitata dalle dimensioni standardizzate della sagoma in plastica per il fissaggio del dissipatore. Il controller PWM è il circuito integrato surface mount indicato con una piccola freccia rossa. Appena sopra si vede la presa a 4 poli che porta la tensione a 12V per alimentare il VRM.



    Il Power ON


    poco più sopra, nella lista dei cavi del connettore ATX, abbiamo indicato anche un Power On. Si tratta del segnale di avviamento dell' alimentatore. Esso è costituito da un cavo di colore verde che va ad inserirsi sul molex 24 pin primario. Si tratta di un cavo di piccola sezione in quanto non trasporta potenza, ma solo un segnale a livello logico per avviare e spegnere lo switch principale.

    Questo segnale, equivalente alla chiusura di un contatto elettrico, collega il pin di PowerOn alla massa (GND); questo collegamento avvia il controller PWM che a sua volta comanda lo stadio di potenza e le tensioni del set ATX vengono prodotte. Fino a che il pin PowerOn è a livello logico del GND, l' alimentatore è "acceso": le tensioni sono presenti, le ventole girano. Quando il PowerOn viene sconnesso dalla massa, il controller PWM viene bloccato e l' alimentatore si riporta nella condizione di attesa.


    Il comando della linea PowerOn è demandato ad una opportuna logica sulla scheda madre che INDIPENDENTE dalla CPU: quando si preme il pulsante di avvio, la CPU non è alimentata e quindi non funziona; è evidente che se il processore non è funzionante al momento dell' avvio, occorre che ci sia un' altra parte del circuito che svolga la supervisione del comando di avviamento. Va anche osservato che il pulsante di avvio, come pure i segnali di wake-up sono momentanei: ad esempio, basta premere il pulsante per avviare il PC e non occorre tenerlo premuto oltre; questo è dovuto al fatto che a mantenere a livello GND il pin di PowerOn ci pensa la logica di cui abbiamo parlato ora.

    Trucco per avviare l'alimentatore senza collegarlo alla scheda madre:

    Da quanto detto, per avviare l'alimentatore è dunque necessario che almeno il molex da 24 pin sia connesso alla scheda madre, in modo che il circuito su essa integrato metta in collegamento il Power On con la massa. Se per specifiche esigenze si vuole accendere l'alimentatore senza accendere con esso il resto del PC (ad esempio per testare l'impianto a liquido a PC spento scongiurando rischi da perdite) si può aggirare questo limite cortocircuitando con un qualsiasi filo di rame conduttore il cavo verde del Power ON con la massa.

    Tale pratica è comunque altamente sconsigliata, salvo utilizzare comunque qualche dispositivo (come la pompa dell'impianto a liquido) che faccia da carico minimo per l'alimentatore. Se proprio si vuole avviare l'alimentatore senza carico (operazione alquanto inutile) è comunque altamente consigliabile crearsi un piccolo circuito di resistenze almeno sulla linea da +12V che faccia da carico fittizio fisso. Il rischio di una tale omissione puù portare a malfunzionamenti momentanei o anche permanenti dell'alimentatore per effetto di sovra-tensioni improvvise.

    Il Power Good

    Questo segnale, presente sia sul connettore AT che su quello ATX, solitamente è ben poco considerato ed assai meno conosciuto, anche se è fondamentale per il funzionamento del sistema.

    Quando si accende l'alimentatore, infatti, intercorre un periodo di tempo iniziale (molto piccolo) prima che tutto l'apparato vada a regime e le tensioni d'uscita risultino effettivamente quelle volute, una voltra trascorse alcune frazioni di secondo esse arrivino al valore impostato e si stabilizzano; questo tempo è necessario per caricare i condensatori e per portare a regime tutte le varie componenti della regolazione. Spesso si fa appositamente in modo che ci sia questo tempo intermedio (soft start) allo scopo di evitare comportamenti oscillatori dovuti ad una improvvisa applicazione delle tensioni e per permette ai numerosi rami di uscita di essere contemporaneamente pronti ad alimentare i circuiti successivi.

    Questo breve istante è per la CPU un tempo enorme, dove possono essere fatte circolare milioni di istruzioni; però, se tutte le tensioni non sono al giusto valore, la CPU non può certo iniziare a dare ordini alle varie periferiche che, ancora non correttamente alimentate, non sarebbero in grado di eseguirle. Inoltre, la stessa area della CPU e delle funzioni logiche principali, se alimentata in modo irregolare, da origine a comportamenti non prevedibili.
    Ecco che sorge la necessità di comunicare alla CPU questa situazione di attesa. La via che è stata scelta è quella di fare dipendere il reset della CPU dallo stato di un segnale che arriva dall' alimentatore : la linea del Power Good (o PowerGood, Power OK, PWR_OK, PWRGD, ecc). Questo segnale è prodotto da un circuito integrato che, nell' alimentatore, verifica la situazione delle tensioni principali e mantiene questa linea collegata alla massa (GND) fino a che non siano raggiunte le condizioni volute. Da questo momento in poi, la linea Power Good va a livello alto, tipicamente simile a quello delle logiche TTL, e libera il reset che avvierà la CPU.

    Nei sistemi di alimentazione di minore qualità, a volte la linea Power Good è connessa solo al +12V. In un alimentatore di media qualità, invece, non verifica solo lo stato del +12V, ma anche del +5V e del +3.3V, ovvero delle tensioni fondamentali del sistema; questo perchè, dipendendo da esse il complesso della regolazione e della stabilizzazione di tutte le tensioni fornite, quando sono ok significa che lo è l'intero alimentatore. Nei sistemi più pregiati, il Power Good ha funzione anche di controller del "brown out", ovvero di una breve caduta delle tensioni controllate al di sotto dei valori minimi, caduta che potrebbe non essere rilevata dal reset della scheda madre e condurrebbe la CPU di lavorare in condizioni improprie. In questo caso anche il segnale Power Good cade a livello di GND e l' alimentatore si blocca. Spesso, in casi simili, come ulteriore protezione, occorre spegnere e riaccendere l' alimentatore che conserva "in memoria" il blocco fino a che c'è tensione di rete, onde permettere un riavvio del sistema solo dopo che l' utente ha preso visone dell' accaduto.

    LE PROTEZIONI

    Nel progetto base dell' alimentatore, possono essere comprese alcune funzioni di sicurezza. Dalle specifiche ATX2.01 in poi si consiglia di progettare i sistemi di protezione separati da quelli di regolazione, in modo che una condizione anormale non si rifletta in un errato valore delle tensioni di uscita che avrebbe come conseguenza il danneggiamento dei componenti del sistema collegati all' alimentatore. Inoltre si consiglia di disporre i sistemi di protezione in modo tale da operare in latch-mode, ovvero da bloccare il funzionamento dell' intero alimentatore. A seguito di questo blocco, l'alimentatore non può riprendere a funzionare se non è stato staccato dalla rete per almeno 1 secondo.

    Le principali protezioni sono:

    OVP: Over Voltage Protection, protezione contro la sovra tensione. Questa funzione tiene sotto controllo lo stato di uno o più rami della bassa tensione e blocca l' alimentatore nel caso in cui i valori rilevati fossero maggiori di quelli limite. Normalmente si tratta di verificare il +1V e/o il 3.3V con un comparatore che scatta al superamento del valore nominale massimo e arresta il controller del PWM.
    La condizione di sovra tensione è un fatto piuttosto grave, in quanto mette a rischio i componenti elettronici collegati. Non è normalmente fatto comune, a meno di un malfunzionamento dell' alimentatore. Per questo motivo, in genere la protezione OVP blocca l' alimentatore in modo tale che si richiede di scollegarlo dalla rete e ricollegarlo per ripristinarne il funzionamento.

    UVP: Under Voltage Protection, ovvero una protezione di sotto tensione, che interviene se il valore scende al disotto di un minimo prefissato analogamente all'OVP.

    La tabella dei punti limite consigliati è la seguente :


    OCP: Over Current Protection, protezione di sovra corrente. Come quella precedente, questa protezione tiene sotto controllo il valore della corrente su uno o più rami della bassa tensione e blocca il funzionamento del PWM quando sia superato un valore limite prefissato. Lo scopo è quello di salvaguardare i componenti interni all' alimentatore nel caso di corto circuiti sulle uscite. Solitamente questa protezione opera con il blocco completo dell' alimentatore come per l' OVP.

    OLP: Over Load Protection, protezione di sovraccarico. Data la possibilità che le diverse tipologie del carico possano caricare in modo irregolare l' alimentatore, in alcune soluzioni costruttive viene inserita una protezione che limita la potenza massima erogabile ed impedisce quindi che i semiconduttori contenuti nell' alimentatore vadano oltre la loro area di funzionamento di sicurezza (SOAR - Safety Operation ARea).

    OTP: Over Thermal Protection, protezione di sovra temperatura. Il calore è un grave nemico per i semiconduttori; già l' alimentatore prevede una ventola controllata termicamente per il raffreddamento forzato, ma è possibile aggiungere una ulteriore protezione che blocchi l' alimentatore nel caso in cui la temperatura interna superi i limiti di sicurezza, ad esempio per guasto della ventola o sovraccarico o otturazione dei fori per la circolazione dell' aria.

    Come già detto, quando entrano in funzione le protezioni, la conseguenza scelta da buona parte dei costruttori è lo spegnimento dell' alimentatore, in quanto viene bloccato, per sicurezza, lo switch primario ed è necessario, per riavviarlo, cancellare la "memoria" del guasto. Per questo occorre scollegare l' alimentatore dalla rete dalla rete per il breve tempo di scarica dei condensatori (1 secondo o più) e poi ricollegarlo (dopo aver eliminato le cause dell' intervento della protezione, si intende...).

    Quindi, se l'alimentatore improvvisamente si blocca e, staccato dal circuito, si riavvia normalmente solo dopo che il cavo di rete è stato scollegato e poi ripristinato, questo indica molto probabilmente l' intervento di una delle protezioni interne.

    ALTRI SEGNALI OPZIONALI:


    Anche se non tutti sono comuni, gli alimentatori possono disporre di altre uscite addizionali :

    FanMonitor: si tratta di un connettore tipo molex a tre pin, simile a quello usato per le ventole, e che collega il segnale tachimetrico della ventola interna all' alimentatore con la scheda madre. Lo scopo di questo segnale è fornire alle risorse di healt monitor, presenti su tutte le mainboard attuali, lo stato di salute della ventola interna all' alimentatore. Alcune schede madri riservano un connettore proprio per questo uso; dove non esiste, se ne può usare uno qualunque libero, ricordando che il segnale tachimetrico lì presente riguarda l' alimentatore. In questo modo, fissati se possibile dei limiti operativi, si viene avvertiti tempestivamente qualora la ventola interna all' alimentatore avesse problemi a ruotare. In sostanza si aggiunge un ulteriore grado di sicurezza al sistema.

    FanControl: se FanMonitor è una opzione abbastanza diffusa, molto meno lo è FanControl. Qui, un connettore corrisponde direttamente alla ventola dell' alimentatore e, a seconda di come è realizzato il sistema di controllo, va collegato ad una apposita presa della scheda madre per regolare la rotazione in funzione della temperatura.
    La bassa diffusione di questa opzione è legata la fatto che la regolazione della velocità delle ventola deve ragionevolmente essere fatta in base alle esigenze dell' alimentatore e quindi ad una misura della temperatura quanto più possibile interna ad esso.
    Pertanto, al di la di sistemi di controllo di sicurezza/rumore/consumo integrati (ad esempio gli ITX di Fujitsu Siemens) o comunque di soluzioni proprietarie, non è per nulla consigliabile variare dall' esterno la velocità della ventola di un alimentatore, tanto meno manualmente.*

    1394V e 1394R: rari modelli presenta una coppia di cavi che portano una tensione continua, non regolata, ma solitamente protetta contro i corto circuiti, prevista specificamente per alimentare le periferiche IEEE-1394 ovvero FireWire. Questa tensione non rientra nello standard ATX, ma è pensata per alimentare periferiche esterne, dove sono possibili disturbi, corto circuiti, sovraccarichi, senza disturbare le altre tensioni dedicate alla scheda madre ed alle periferiche interne.
    Ultima modifica di Dexter; 16-04-2012 alle 15:56
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  4. #4
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    SOLUZIONI PER AUMENTARE L'EFFICIENZA



    Come anticipato nell'introduzione, in quest'ultima parte della guida andremo a vedere in che modo gli alimentatori più recenti riescono a raggiungere i livelli di efficienza stabiliti dai vari Standard 80+, toccando efficienze anche oltre il 90%. Le strade per aumentare l'efficienza sono tre, e tutte possono essere percorse contemporaneamente in modo da garantire un'efficienza finale molto alta.

    MINIATURIZZAZIONE DEI COMPONENTI e AUMENTO DELLA FREQUENZA:


    Nella prima parte della guida abbiamo detto che l'alimentatore è l'unico componente del PC a basso contenuto tecnologico e senza miniaturizzazione ed è quindi possibile capirne a fondo il funzionamento anche per chi non è prettamente un tecnico elettronico. La situazione negli ultimi anni sta lentamente cambiando però. I transistor bipolari nelle sezioni di potenza sono completamente sostituiti con più piccoli ed efficienti MOSFET, dalle migliori caratteristiche di commutazione e quindi minori perdite. Al contempo, anche la gran parte delle funzioni sparpagliate nello schema sono ora svolta da uno o più circuiti integrati invece che da componenti discreti, con un miglioramento della qualità ed un aumento delle prestazioni possibili. Il tutto permette l' aumento della frequenza di lavoro, dai 33-66kHz dei vecchi progetti ai 100kHz e più dei nuovi. Questo produce un immediata e drastica riduzione delle dimensioni dei materiali magnetici su cui sono avvolte le bobine, dei condensatori secondari, dei chip vari ecc (meno peso, meno costo, meno superficie impegnata e quindi possibilità di implementare più funzioni).

    A seconda della "qualità" dei circuiti integrati che vanno a sostituire i vecchi elementi discreti si ottiene un'aumento più o meno considerevole della percentuale d'efficienza, il tutto a parità di schema base (come ad esempio l'half bridge che abbiamo visto fin ora).

    L'AGGIUNTA DEL PFC:

    La prima cosa che ha creato un certo movimento nel mercato degli alimentatori è stata la necessità di adeguarsi alla regolamentazione PFC imposta essenzialmente dalla EU. IL PFC è un componente fisico che va ad aggiungersi (e non a sostituire stavolta) al circuito visto sin ora con lo scopo di "sincronizzare" tra loro la fase di tensione e corrente nella parte ad alta tensione, ovvero prima che i trasformatori creino i differenti rami alle diverse tensioni d'utilizzo. PFC è acronimo dell' inglese Power Factor Correction, ovvero Correzione del Fattore di Potenza. Avere tensione e corrente quanto più "in fase" possibile tra loro porta a una minore dispersione di potenza (potenza reattiva) dovuta, in quanto essa si attenua seguendo il coseno della differenza di fase tra tensione e corrente ovvero:

    POTENZAfinale = POTENZAiniziale * cos(FASEtensione-FASEcorrente)


    Come tutti sapranno, il coseno è una funzione che varia in modulo tra 0 ed 1, e quindi se esso non vale 1 ci sarà un termine di attenuazione sulla POTENZAiniziale. Più precisamente cos (0) = 1, quindi sincronizzando le fasi di corrente e tensione avremo FASEtensione-FASEcorrente = 0 e la potenza iniziale sarà moltiplicata per un fattore 1 non subendo attenuazioni. La differenza tra POTENZAIniziale (Potenza Apparente) e POTENZAfinale (Potenza Attiva) viene chiamata Potenza Reattiva.

    Scopo del PFC, dunque, è esclusivamente quello di migliorare il rapporto tra la potenza complessiva impegnata dalla rete (Potenza Apparente) e quella che effettua il lavoro richiesto (Potenza Attiva), riducendo quindi la componente non attiva che interessa le caratteristiche specifiche di quel particolare circuito (Potenza Reattiva) : questo migliora il rendimento della produzione e della distribuzione dell' energia elettrica. Questa cosa non incide, come molti pensano sulla qualità delle tensioni d'uscita, o sulla potenza reale d'uscita, ma solo da un punto di vista di minor consumo e minor inquinamento ambientale.

    Questa potenza reattiva non compie un "lavoro" e , teoricamente, non corrisponderebbe neppure ad un costo di produzione. In effetti, però i generatori elettrici alle centrali devono comunque girare e l' energia , anche se reattiva, viaggia sulle linee di distribuzione e quindi ha un costo per le società produttrici. Quindi, se la mia abitazione consumasse, per assurdo, solo potenza reattiva, il contatore sarebbe fermo e la bolletta a zero, anche se la centrale elettrica e le linee di distribuzione dovrebbero essere comunque in piena funzione.

    In pratica questo interessa moltissimo le aziende produttrici di energia, in quanto la produzione di energia elettrica richiede che vengano consumate altre risorse, dai combustibili fossili (centrali termoelettriche) a quelli "naturali" (geotermica, idraulica, eolica, ecc). Ovviamente queste conversioni hanno un certo rendimento e, dato che le materie prime e gli impianti hanno un costo, maggiore è questo rendimento, minore sarà il costo dell' energia prodotta. Inoltre, questa energia è prodotta in luoghi spesso lontani da quelli di consumo ed anche le linee elettriche che la trasportano hanno costi e rendimenti.

    Supponiamo di avere la situazione presentata nel grafico qui sotto: la tensione, curva rossa, ha andamento sinusoidale, mentre la corrente ha l'andamento della curva blu, ovvero è una onda quadra. Tensione e corrente sono perfettamente in fase tra loro, cioè FASEtensione-FASEcorrente = 0. Questa differenza di fase è anche chiamata "fattore di potenza" in maniera impropria.


    Va osservato che, essendo le grandezze in fase, il loro prodotto sarà sempre positivo, in quanto, come nel caso del primo esempio, si troveranno contemporaneamente in campo positivo o negativo. Il fatto che il prodotto (la potenza) sia sempre positiva fa comprendere come non sia presente una componente reattiva. La curva risultante dal prodotto istante per istante è quella nella figura seguente:


    Tuttavia anche in questo caso è presente una componente di Potenza Reattiva dovuta alla diversa forme delle onde, quindi in definitiva il VERO fattore di potenza su cui interviene il PFC non è dato solo dalla differenza delle due fasi ma anche dalla forma delle due onde.
    Tale fattore di potenza si calcola quindi con il rapporto Potenza Attiva / Potenza Apparente
    e non con il semplice coseno della differenza di fasi.

    Quando il PFC è progettato per svolgere questa duplice funzione di allineare le fasi e omologare la forma delle due onde, solo allora si può affermare che i risultati della sua azione non sono solo l'aumento del rendimento elettrico di alimentazione, ma anche la riduzione delle armoniche che darà quei benefici di miglioramento del rendimento complessivo sull'efficienza dell'alimentatore. In questa direzione ha senso pure l' affermazione che il "PFC" prolunghi la vita dei componenti e migliori la stabilità del sistema. Quindi, ripetiamo, non è l' etichetta "PFC" a dare particolare rilievo ad un prodotto, ma come è stata inteso ed implementato PFC.

    Il PFC può essere di due tipi, passivo o attivo. Il PFC passivo è la soluzione più semplice, ma anche meno efficiente, e viene realizzato collegando semplicemente in serie una grossa bobina di forma toroidale dopo la prima parte del filtro EMI. Questa soluzione ha avuto il grosso vantaggio di poter essere implementata senza modificare minimamente il resto del progetto e dell'architettura degli alimentatori half bridge già esistenti e quindi è stata facilmente introdotta senza grosse difficoltà. La cosa ha senso in quanto l' alimentatore PC, per le sue caratteristiche costruttive, è essenzialmente un carico di tipo capacitivo, per cui un primo approccio, il più semplice, è quello di aggiungere la componente mancante, ovvero quella induttiva, pari a quella capacitiva presente, in modo tale che le due si annullino a vicenda.


    Senza variare nulla del progetto originale, si aggiunge questa bobina in serie al ponte raddrizzatore.

    Un più elaborato schema utilizza una coppia di bobine e di condensatori in una sorta di filtro accordato. Normalmente questa soluzione non è impiegata negli alimentatori PC per le dimensioni dei componenti eccessive rispetto alla capacità del contenitore standard.


    Sono possibili altre variazioni sul tema, impiegando gruppi LC e resistenza-diodo per ridurre il picco di carica dei condensatori. Questa tecnica prende il nome di pfc passivo, in quanto si tratta solo di aggiungere un componente "passivo" (ovvero che non è in grado di modificare dinamicamente il suo valore) ad equilibrare mediamente la componente sfasante del circuito. Mediamente perchè il carico dell' alimentatore può essere dinamico entro limiti sensibili.

    Il carico dell'alimentatore varia continuamente nel tempo e a secondo dell'hardware collegato, quindi una bobina dal valore fisso può correggere l'apporto induttivo in base a un valore "medio" di carico, ma risulta meno efficiente man mano che il carico effettivo dell'alimentatore si discosta da questo valore medio. Da qui l'idea di inserire una correzione attiva: in questo caso un circuito elettronico modifica istante per istante il valore del fattore di potenza, cercando di mantenerlo quanto possibili al massimo. Il sistema è più costoso, ma il fattore di potenza è il più alto possibile. Anche qui, inizialmente, si è trovata una soluzione per non modificare troppo il progetto half bridge. Dato che la gran parte dei problemi dipende dal fatto che l'ingresso dell'alimentatore è costituito da un ponte di diodi che carica dei condensatori, nulla di meglio che sostituire questo ponte con uno pseudo-ponte "attivo", che modifica le sue caratteristiche cercando di mantenere allineate tensione e corrente e sopprimendo per quanto possibile le armoniche:


    La soluzione circuitale schematizzata sopra prende il nome di boost. Si basa su una induttanza che conserva energia fino a che viene scaricata prima di iniziare un nuovo ciclo. L'interruttore indicato nello schema non è un componente fisico, ma è realizzato con un MOSFET. Il comando dell' MOSFET-interruttore è demandato ad un drive, realizzato attorno ad un circuito integrato appositamente progettato. Questo specifico genere di applicazione carica i condensatori cercando di mantenere la forma della corrente priva di picchi e in fase con la tensione. La correzione del carico capacitivo viene effettuata, quindi, per via elettronica, agendo sulla commutazione dell' energia primaria con una metodologia del genere switching. Si deve notare che la o le bobine dello schema qui sopra non hanno la stessa funzione attribuita a quelle del sistema passivo, ovvero non compensano direttamente con la loro reattanza induttiva quella capacitiva del carico, ma sono un elemento indispensabile al circuito di commutazione.

    Di seguito, una delle prime realizzazioni di PFC attivo su un PCB separato da quello primario che rimane un classico half bridge. Tale circuito comanda un commutatore di potenza costituito da un mosfet visibile in primo piano, fissato con una vite sull' aletta di raffreddamento.


    Si nota della pasta termo conduttiva bianca applicata sulla superficie interna del radiatore in alluminio e che serviva ad accoppiarlo termicamente ad uno dei radiatori del circuito principale per aumentare la superficie radiante. I quattro fili colorati, che si vedono uscire nell' angolo a destra, collegano questo modulo col circuito stampato principale, al posto del normale ponte raddrizzatore, che viene semplicemente rimosso.

    Questo genere di applicazioni è definito come "pre-regolatore PFC" in quanto non modifica la circuiteria dell' alimentatore vero e proprio, ma si limita a fornire alla linea di alimentazione un carico con un elevato fattore di alimentazione, sostituendo in modo attivo il ponte raddrizzatore tradizionale. In questo modo si ottiene la correzione PFC attiva indipendentemente dalla costruzione del regolatore principale.
    Attorno a questo sistema di pre regolazione, sono nate una notevole quantità di soluzioni diverse, in quanto un buon numero di costruttori di circuiti integrati ha messo a catalogo uno o più componenti specifici per risolvere il problema. Quindi è possibile trovare implementate varie famiglie di questi componenti, con le relative particolarità circuitali.

    Certamente questa soluzione eleva il coseno della differenza tra le due fasi a valori molto superiori rispetto all'approccio passivo; mediamente valori da 0,86 in su sono facilmente raggiunti e, lavorando come un "raddrizzatore attivo", riesce a compensare entro certo limiti la deformazione della forma d' onda della corrente, riducendo i picchi che contraddistinguono gli alimentatori switch mode privi di pre-regolazione.

    Nell' immagine sotto, una implementazione tipica di pre-regolatore PFC attivo che ha caratterizzato i migliori alimentatori fino a qualche anno fa (2000-2005).


    Si tratta con tutta evidenza di una patch applicata su un progetto già esistente. Il modulo PFC si trova, capovolto, collegato meccanicamente al radiatore di calore dei transistor dello switch principale. Da osservare le dimensioni ampie dei dissipatori, anche quello dei diodi, data la relativa potenza dell' alimentatore. Il circuito contornato in rosso è il regolatore termico della ventola: la freccia identifica il sensore di temperatura fissato sul radiatore dei diodi : la sua funzione è variare la velocità della ventola in funzione del calore dei componenti, in modo da mantenere un buon rapporto tra rumore ed efficienza del raffreddamento.

    Togliendo il modulo PFC e rimontando il ponte raddrizzatore, l'alimentatore è perfettamente funzionante e del tutto identico a migliaia di altre versioni di altri costruttori che si differenziano tra di loro solo per qualche particolare costruttivo secondario.

    In conclusione, l'obbligo del PFC anche su piccoli apparati è una piccola, ma utile modifica ad un complesso stato di cose pre esistenti, che andrebbe rivisto complessivamente alla luce della situazione energetica globale.
    Poi, tra passivo e attivo, vale la pena di scegliere attivo, se disponibile, perchè , se ben implementato, ha diversi vantaggi con una differenza di costo non eccessiva, anche se le differenze, ma non sono vitali. Il PFC, inteso come la sola sincronizzazione tra fase di corrente e tensione non porta a NESSUN vantaggio per l'utente finale ne in termini di prestazioni, consumo, efficienza, precisione o calore dissipato dall'apparecchio.

    I miglioramenti nelle prestazioni, consumi, sicurezza, durata, efficienza, contenimento dell'elettrosmog , ecc. non derivano certo dall' aggiunta di un controller PFC ad un progetto esistente, bensì da una ampia revisione dei criteri costruttivi dell'intero apparecchio che integrino tale PFC in maniera nativa e ponderata per "pulire" quanto più possibile le sinusoidi di tensione e corrente eliminando ulteriormente quelle ad altre frequenze.

    MODIFICHE ALLO SCHEMA DI BASE:

    Tutto quanto visto fin ora è perfettamente implementabile direttamente (circuiti integrati) o tramite patch (pre-regolatore PFC) sullo schema di base classico sul quale abbiamo basato per semplicità tutta la guida e che prende il nome di half bridge. Tuttavia una terza strada per migliorare ulteriormente l'efficienza è stata quella di andare a modificare letteralmente lo schema di base. Vedremo di seguito alcuni schemi diversi che si sono succeduti negli anni che, sfruttando al meglio anche gli altri elementi visti sin ora, sono stati in grado fornire efficienze sempre maggiori; è questo il caso della prima grande distinzione rispetto allo schema half bridge chiamata Forward Converter e successivo Dual Forward Converter (in grado di raggiungere efficienze fino all'85-86% e accreditarsi degli standard 80+ Bronze e 80+ Silver) e del più recente Dynamic Hybrid Transformer Topology (in gradi di raggiungere il 94-95% di efficienza e accreditarsi degli standard 80+ Gold e 80+ Platinum)

    FORWARD CONVERTER:

    In questa nuova architettura si modifica profondamente lo switch principale rispetto alla topologia half bridge andando ad utilizzare transistor al posto dei classici elementi bipolari. L'implementazione piu efficiente di questo nuova architettura utilizza per la precisione due transistor e per questo prende il nome di Dual Forward Converter.



    I due transistor sono dei MOSFET, che garantiscono una commutazione più efficiente che non i classici bipolari ; entrambi sono simultaneamente posti in stato di conduzione (on) o di interdizione (off) dal PWM prodotto dall' integrato di pilotaggio. L' energia viene trasferita durante il tempo di ON dei transistor : in questo momento, V1 è uguale alla tensione Vin di ingresso, tensione di rete raddrizzata di elevato valore. Questa tensione, ridotta dal rapporto spire tra primario e secondario di T1, viene raddrizzata da D3 e filtrata dal ripple dal gruppo L/C di uscita, L1 e C2. Durante il tempo di OFF, il secondario di T1 è senza tensione, ma resta energia immagazzinata in L1 che fluisce attraverso D4 e IL1 non è mai a zero. I diodi D1 e D2 servono per demagnetizzare il primario nella fase di OFF. Il rapporto tra il tempo di ON e quello di OFF del PWM, per questo motivo, non può superare il 50%.

    Maggiore è la frequenza di commutazione, minori saranno le dimensioni richieste dai nuclei magnetici delle bobine e minore saranno peso e dimensioni; questo si verifica puntualmente nella pratica in quanto si possono raggiungere senza particolare sforzo frequenze superiori a 100kHz per il PWM. Per contro, ad un aumento di frequenza corrisponde un aumento delle perdite di commutazione dei semiconduttori, per cui si rende necessario un bilanciamento tra le caratteristiche di questi ultimi e lo schema adottato. In compenso, la riduzione delle dimensioni dei nuclei consente di poter avvolgere bobine di valore maggiore nello stesso volume, migliorando la qualità della tensione di uscita.

    Si può osservare che, rispetto all' half bridge, questo circuito non richiede i due classici condensatori di ingresso, in quanto i due transistor di potenza non vengono attivati in successione, richiedendo metà della tensione, ma nello stesso momento. Questo, tra l' altro, almeno in via teorica, dovrebbe ridurre le armoniche sulla corrente assorbita; inoltre è ideale per essere alimentato da un pre regolatore PFC che non è un "corpo estraneo" aggiunto, ma si integra naturalmente nello schema complessivo.

    La tabella seguente raccoglie le differenze tra questa soluzione e l'half bridge:


    In sostanza, si ottiene un circuito che utilizza meno potenza per il suo controllo, più compatto, più affidabile e con la possibilità di incorporare la sezione PFC e le protezioni di sovra corrente in modo semplice ed efficace.
    Ultima modifica di Danckan; 11-04-2012 alle 16:13
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  5. #5
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    Ed è proprio in base alla considerazione della necessità del PFC attivo che si è potuto sviluppare in modo deciso questo sistema: diversi costruttori di semiconduttori hanno realizzato circuiti integrati complessi che svolgono contemporaneamente la funzione di regolatore PFC e quella di controller PWM, proprio per il modo Forward Converter, cogliendo così i due classici piccioni con una fava.
    L'impiego di un solo circuito integrato al posto di numerosi componenti discreti ha permesso di realizzare con facilità alimentatori più efficienti e con qualità di uscita migliore; l' integrazione di PFC e PWM è risultata gradita ai progettisti degli alimentatori delle ultime generazione, che la stanno adottando in buon numero.

    Forte dell`unica tensione di alimentazione necessaria, un solo componente complesso risolve ogni problema con una spesa contenuta e con una forte semplificazione circuitale. Lo schema seguente mostra il principio di applicazione.


    Nel riquadro rosso è evidenziato il PFC integrato. Q0, pure un MOSFET, spesso per ragioni di efficienza e praticità è realizzato con due elementi separati.

    Nello figura seguente è schematizzato l' intero alimentatore. Possiamo notare, confrontandolo con lo schema analogo fornito precedentemente, che la struttura generale è molto simile, ma che sono implementate alcune importanti variazioni.


    Dopo l' ingresso della rete si trova l' immancabile filtro EMI, del tutto analogo a quello già precedentemente descritto. Seguono protezioni varie (fusibile, PTC, ecc), prima del ponte raddrizzatore. Fino a qui niente di nuovo.

    Il ponte, ora, alimenta direttamente il circuito di PFC, che controlla la tensione continua di carica del condensatore; una sola tensione ed un solo condensatore è necessario per alimentare lo switch di potenza.

    Da osservare un bonus addizionale che l'IC di controllo rende disponibile: la corrente primaria passa attraverso una resistenza di basso valore ohmico (Rs) che genera una caduta di tensione proporzionale alla corrente. Questa tensione è letta dal controllore PWM/PFC e, se supera i limiti stabiliti, manda in blocco il sistema in modo molto più rapido e sicuro del fusibile (che, comunque, estrema ratio, è sempre presente): si realizza così un efficace e semplice protezione contro la sovra corrente ed il corto circuito sul lato della rete senza aggiungere altro che la Rs.

    Da notare che, a differenza dell' half bridge classico, il controller non sta sul secondario del T1, ma sta sul lato ad alta tensione, per cui il comando del PWM non necessita di trasformatore di isolamento. Tra l'altro, essendo i transistor di tipo MOS, la potenza che richiedono per il loro comando è molto più bassa di quella richiesta dai transistor bipolari, con una semplificazione del circuito ed una aumento dell' efficienza.
    Dovrà, invece, essere isolato il segnale del feedback che giunge dal lato a bassa tensione; esso viene trasferito attraverso un isolatore ottico (opto insulator) e non più con ingombranti e costosi trasformatori.

    Nei sistemi più evoluti, il feedback è gestito da un apposito circuito, a volte raccolto in un solo integrato specifico, che tiene sotto controllo le tensioni e le correnti in uscita, la temperatura e la potenza, in modo da realizzare non solo la stabilizzazione delle tensioni, ma anche una serie di protezioni (OVP, UVP, OVP, OTP, ecc) per le linee in uscita.

    All'uscita, il solito gioco di bobine e condensatori migliora la stabilità e riduce il ripple sulle tensioni prodotte (e` stata omessa per comodita di disegno la linea 3.3V che si affianca alla 5V e 12V), analogamente a quanto visto in precedenza. Siccome la frequenza di lavoro sale parecchio, rispetto all' half bridge, le dimensioni delle parti magnetiche e dei condensatori si riduce, permettendo un risparmio di spazio/costo oltre alla possibilità di impiegare elementi di valore maggior per ottenere migliore qualità delle correnti continue in uscita.

    Detto questo, possiamo finalmente affacciarci a guardare un primo esempio di alimentatore moderno dotato di certificazioni d'efficienza 80+:

    Aperta la scatola, la disposizione delle parti è piuttosto classica, perchè le funzioni principali e lo spazio disponibile sono sempre gli stessi.


    I rettangoli colorati identificano le aree di competenza delle varie funzioni. La freccia gialla indica il fusibile, saldato sul circuito stampato e isolato accuratamente con una guaina termo stringente nera. La freccia rossa indica gli opto isolatori del feedback. La freccia blu indica il circuito d controllo termostatico della ventola interna. T1 è il trasformatore principale, con accanto il condensatore C dell' alta tensione. E' sempre presente, ovviamente, un robusto filtro EMI. I transistor MOSFET del PFC e del PWM non sono visibili, perchè montati sul radiatore ampiamente alettato; così pure i diodi raddrizzatori finali. E'da notare la mancanza del cambia tensione, in quanto il circuito di PFC è progettato in modo da adeguare il suo funzionamento in modo automatico per un' ampia gamma di tensioni, da 100V a 240V almeno.

    Vediamo cosa nascone il bizzarro dissipatore di calore, le cui alette si espandono curvate di 90° in orizzontale per guadagnare volume.

    La seconda sezione del filtro EMI è realizzata sul circuito stampato con due bobine toroidali (frecce gialle) e vari condensatori (in primo piano si notano i condensatori "class Y" in colore azzurro).


    La freccia rossa evidenzia la grossa bobina del PFC. La freccia arancio indica, seminascosto, l'integrato CM6800 con gli altri componenti del circuito PFC. Si nota l'abbondante uso di un composto adesivo bianco usato per fissare le parti che potrebbero essere soggette a vibrazione. Inoltre, in primissimo piano, un foglio di materiale plastico trasparente è inserito per migliorare l'isolamento verso la scatola metallica esterna. La freccia verde indica il ponte raddrizzatore, montato su una superficie radiante.

    Il ponte, ora, alimenta direttamente il circuito di PFC, che controlla la tensione continua di carica del condensatore; una sola tensione ed un solo condensatore è necessario per alimentare lo switch di potenza successivo. La freccia blu indica il minuscolo semiconduttore di potenza del generatore della Vstby, il cui piccolo trasformatore è indicato dalla freccia arancio. La maggior frequenza di lavoro adottata anche per questa sezione riduce le dimensioni dei componenti come si può notare.


    La freccia rossa indica il gruppo dei tre opto isolatori che trasmetto il segnale di feedback del PWM e quelli delle protezioni alle uscite, isolando la parte a bassa tensione da quella di rete. Notare sotto i componenti il circuito stampato inciso per aumentare l'isolamento. Sulla destra, si nota un cilindro di ferrite inserito sul cavo della rete per smorzare le armoniche a più alta frequenza in aiuto al filtro EMI.

    Un attento osservatore dovrebbe aver notato una cosa strana: nelle immagini precedenti manca l'affollamento dei piccoli componenti discreti (resistenze, condensatori, diodi, transistor) che caratterizzava i circuiti stampati classici. Questi elementi non sono scomparsi ma semplicemente hanno cambiato tipologia e "posto". Abbiamo detto che la potenza necessaria per comandare il gate dei MOSFET è molto inferire a quella necessaria per le basi dei transistor bipolari e che la potenza complessiva che il circuito usa per il suo proprio funzionamento si è ridotta; quindi occorrono componenti di potenza minore e quindi più piccoli adatti a lavorare alle frequenze maggiori. Inoltre la tecnologia ha da tempo sviluppato la tecnica del surface mount, dove la maggior parte degli elementi è "montata sulla superficie" del circuito stampato, senza impegnare la dimensione verticale.

    Tutti questi elementi si sono trasferiti sulla faccia inferiore del PCB principale:


    Dalla foto si nota bene il ricco affollamento dei minuscoli componenti SMD (Surface Mounting Devices) : diodi, resistenze, condensatori, transistor e anche un circuito integrato (freccia rossa).
    Da notare le sovra metallizzazioni delle piste delle masse comuni, come quella delle uscite (GND) o quelle interessate da forti correnti allo scopo di abbassarne la resistenza. Si vede molto bene la cura posta nell' isolamento tra la parte a tensione di rete (a sinistra) e quella a bassa tensione (a destra), separate da un' area priva di piste e componenti, segnata sul circuito stampato da un tratteggio. Dove la distanza fisica si riduce, l' alto isolamento viene ripristinato incidendo il circuito stampato (frecce gialle) in modo da evitare correnti superficiali.
    Si notano anche ai quattro angoli i fori tondi per le viti dei distanziali di supporto; a quello in basso a sinistra (freccia blu) compete la funzione di collegare alla scatola metallica i terminali dei due classici condensatori del filtro EMI.

    RADDRIZZAMENTO SINCRONO (SYNCHRONOUS RECTIFIER)

    L'utilizzo di elementi integrati più piccoli ed efficienti accennato all'inizio di questo capitolo ha portato alla modifica non solo della parte di circuito operante ad alta tensione, come visto nella topologia Dual Forward Converter di base, ma anche alla parte di circuito a bassa tensione addetta al raddrizzamento delle tensioni in uscita dal trasformatore. Tale soluzione, dato che va a toccare una parte del circuito diversa rispetto a quelle modificate nelle topologie Forward Converter o Dynamic Hybrid Transformer, risulta essere perfettamente compatibile e applicabile alle topologie in questione, andando a sommare ulteriori migliorie in termini di efficienza a queste ultime.

    Lo schema seguente mostra una comparazione tra un classico circuito di raddrizzamento a bassa tensione a diodi e uno dove questi ultimi son ostato sostituiti da MOSFET controllati, tale soluzione prende il nome di raddrizzamento sincrono:


    D3 e D4 costituiscono il sistema classico fino ad oggi utilizzato. Si tratta di diodi ultra fast o Schottky, con una bassissima caduta di tensione, ma che difficilmente scende sotto gli 0,5V. Il problema si pone nel momento in cui le correnti diventano molto intense ed è necessario contenere la perdita in calore: a 20A, vuol dire 10W persi per effetto Joule.


    L'idea è quella di sostituire D3 e D4 con due MOSFET, Q3 e Q4, che normalmente sono in stato di off e vengono posti in conduzione solo al momento opportuno da un apposito controller (Sync nello schema). In tal modo, a fronte di una certa complicazione circuitale, si ottiene una immediata riduzione delle perdite in calore in quanto la resistenza diretta dei MOSFET può essere abbassata a millesimi di ohm (10 milliohm o meno), creando una caduta di tensione molto minore di quella possibile con i diodi. A scopo di confronto, con 10 milliohm a 20A la perdita per effetto Joule è solo di 4W.

    In dipendenza dalla minore perdita di potenza, il calore perso sulla giunzione si riduce e quindi necessita minore superficie di raffreddamento; il calore da asportare con la ventilazione forzata è minore e quindi si possono usare ventole con portata e rumore inferiori. Alcuni studi valutano la differenza di temperatura tra diodi standard e rettificazione sincrona in almeno 10°C. Tutto questo considera solamente la potenza persa per effetto Joule in modo "statico", ma sono in gioco altri fattori: in sostanza, quando i diodi passano dallo stato di conduzione a quello di blocco e viceversa, queste commutazioni non sono istantanee, ma, anche se brevissime, comportano una perdita di energia che si trasforma in calore. Se in un normale sistema di raddrizzamento della tensione di rete (50 hertz) il problema è trascurabile, l' elevata frequenza di funzionamento dei sistemi switch mode esalta questo problema. Per i diodi, i tempi di commutazione e la relativa potenza persa sono fissi e dipendono dalla realizzazione del diodo stesso; nei sistemi a raddrizzamento sincrono, invece, i MOSFET facenti funzione di diodi sono portati a condurre e a bloccarsi con un comando esterno che deve essere dato al momento opportuno: questa possibilità, unita alle caratteristiche di commutazione dei MOSFET stessi porta ad avere minori perdite durante queste transizioni conduzione/blocco e vicevrsa, il che riduce ulteriormente la potenza persa in calore. Ancora, va considerato che la riduzione della potenza persa sui raddrizzatori si riflette sulla minore necessità di potenza che lo switch primario deve trattare e quindi di una riduzione del calore pure in questa sezione, oltre che di un aumento complessivo del rendimento del sistema.

    Il raddrizzamento sincrono è stata una delle più recenti introduzioni in fatto di alimentatori in quanto risultava difficile e costoso creare un controller economico (Sync in figura) che attivasse/disattivasse i due MOSFET con la massima precisione e "sincronizzazione". Fortunatamente negli ultimi anni i costruttori di semiconduttori hanno reso disponibili nuove specifiche famiglie di circuiti integrati che risolvono il problema dell'innesco dei MOSFET dei raddrizzatori sincroni, riducendo drasticamente le criticità e permettendo di generare le prime applicazioni commerciali su alimentatori di fascia alta dal 2009 in avanti circa.


    DYNAMIC HYBRID TRANSFORMER TOPOLOGY (DHT):

    Andiamo a vedere un secondo esempio di architettura di base studiata appositamente per raggiungere una maggior efficienza e precisione. Sfruttiamo l'occasione per mostrare anche un applicazione del raddrizzamento sincrono con relative conseguenze che invece manca nel precedente esempio di un alimentatore Forward Converter. Si ricorda che anche gli alimentari Forward Converter possono integrare il raddrizzamento sincrono, è stato scelto un esempio di alimentatore sprovvisto di tale soluzione solo per poter meglio evidenziare le differenze con la soluzione seguente che invece la usa.

    La topologia DHT si basa su un array dinamico di trasformatori risonanti, i quali sono a loro volta un implementazione nel contesto degli alimentatori di una topologia solitamente utilizzata per i monitor LCD chiamata resonant topology, la cui trattazione nel dettaglio risulta essere abbastanza complicata e implica la conoscenza di vari principi di elettronica ed elettrotecnica non banali. Per una trattazione più approfondita di tale topologia mettiamo comunque a disposizione un saggio completo a questo indirizzo.

    Torniamo quindi al nostro array dinamico di trasformatori risonanti e vediamo di vedere in che consiste e spiegarne approssimativamente il funzionamento. Il circuito di base prevede l'introduzione di una grossa bobina seguita da un numero variabile di condensatori e resistenze che creano un circuito RLC. Tale circuito ha la caratteristica di "esaltare" le correnti a una determinata frequenza, ovvero quella alla quale il carico capacitivo ed induttivo del circuito si compensano perfettamente. In tale condizione il circuito va in risonanza ed esso viene visto come una semplice resistenza, mentre invece le altre frequenze vengono attenuate. La frequenza esaltata w, detta frequenza di risonanza, può essere inoltre modificata variando il carico di L o di C nel circuito. E' lo stesso principio di funzionamento su cui si basano le ormai vecchie radioline FM con la "rotellina" per cambiare stazione: muovendo quella rotellina altro non si fa che spostare sull'asse X la frequenza w che viene esaltata, riuscendo a selezionare una sola delle frequenze tra le tante che arrivano contemporaneamente all'antenna della radio.




    A seguito di questo circuito troviamo un array di tre trasformatori, ovvero tre trasformatori collegati in parallelo tra loro per le tre linee di tensione principali +12V, +3,3V e +5V (quest'ultimo trasformatore si occupa anche di generare la +5Vsb a computer spento). I tre trasformatori, variano la loro risposta in uscita in maniera dinamica a seconda delle variazioni della frequenza di risonanza w, garantendo istante per istante la massima efficienza a seconda del carico. Questo perchè durante il processo di trasformazione della corrente, una parte di essa viene persa nella trasformazione se il carico richiesto si discosta dal valor medio per cui è stato progettato il trasformatore; utilizzando queste frequenze dinamiche invece, il trasformatore è sempre in gradi di lavorare al massimo della propria efficienza.

    Altro aspetto della DHT topology è il caricamento dinamico dei condensatori primari tramite un'apposito circuito di feedback, simile a quello utilizzato dallo switch primario, il quale tiene conto dell'effettivo carico dell'alimentatore. Tale soluzione garantisce una minor dispersione e dissipazione di corrente in calore, soprattutto ai bassi carichi, in quanto è possibile contenere i livelli di alimentazione dello switch.

    Vediamo un'esempio pratico di quanto detto, cogliendo l'occasione per ricapitolare tutto quanto detto sin ora:


    Nel disegno in grigio abbiamo il percorso della corrente che attraversa la prima parte del filtro EMI sulla presa e poi la seconda parte direttamente sul PCB principale. Poi la corrente passa nel rettificatore d'ingresso e nel PFC, il quale è di tipo attivo, avendo, oltre al grosso toroide, anche una parte circuitale integrata direttamente sul PCB principale. I condensatori primari vengono caricati, la corrente va allo switch primario sormontato dal dissipatore nero. Dallo switch primario la corrente ritorna AC e passa per il circuito DHT che filtra le frequenze dinamicamente in base al carico, si vede nel disegno il grosso induttore L-DHT e i condensatori C-DHT da capacità variabile. La corrente AC dalla frequenza così modificata arriva ai tre trasformatori che creano tre distinte linee di corrente; inoltre un segnale di retroazione controlla la carica dei condensatori. Le tre distinte linee vengono rettificate in maniera sincrona passando per gli integrali coperti dal dissipatore nero e passano poi per il filtro d'uscita.
    Ultima modifica di Danckan; 14-04-2012 alle 15:00

  6. #6
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    Da notare che l'alimentatore in questione è di tipo ibrido, quindi una parte dei cavi gialli, rossi e arancioni, corrispondenti alle tre linee, vanno a una mascherina verticale che le distribuisce verso l'esterno, mentre un'altra parte, saldata al PCB primario, va direttamente all'esterno. Al di sotto di questi cavi che vanno direttamente all'esterno tra cui, non a caso, c'è l'alimentazione 24 pin primaria, si scorge un'altra serie di componenti necessari per creare le linee secondarie a -12V e circuiti logici per creare il Power ON e il Power Good. Sparsi qua e là sul PCB primario e non evidenziati ci sono altri piccoli componenti di cui la maggior parte utilizzata per fornire i vari tipi e livelli di protezione.

    In conclusione si nota che le complicazioni circuitali di quest'ultimo esempio sono notevoli rispetto alle prime foto di alimentatori illustrate nel corso della prima parte della guida. Tuttavia tale ultimo esempio rappresenta quanto di meglio esistente in commercio al momento in cui questa guida viene scritta per quanto riguarda gli alimentatori ATX e rappresenta l'ultimo passo in un discorso sull'argomento che va dalla A alla Z. Quest'alimentatore parzialmente modulare, eroga oltre 1000W di potenza in uno spazio davvero molto ristretto grazie alle alte frequenze a cui lavora; è dotato di una completa schermatura EMI, PFC attivo, tutte le protezioni del caso e soluzioni architetturali e costruttive che gli consentono un'efficienza che oscilla tra il 91-95%.

    Per il futuro c'è da aspettarsi la presentazione di modelli ancora più efficienti, in quanto le fonderie di silicio sfornano in continuazione nuovi prodotti: sono disponibili MOSFET con resistenza sempre più bassa e frequenze di lavoro sempre maggiori, in package più piccoli o in array che ne contengono più di uno, aumentando il wattaggio per centimetro cubo e riducendo le perdite; nuovi integrati per il controllo del PWM e del PFC progettati appositamente sempre più raffinati, mentre i costi per quantità sono in discesa.

    L'EVOLUZIONE DELLO STANDARD ATX:


    Nel corso della guida abbiamo accennato a varie versioni delle specifiche ATX. Questo perchè nel corso del tempo lo standard ATX si è notevolmente evoluto in base alle nuove esigenze hardware ed al progresso tecnologico. Vediamo quali sono state le sue tappe:

    ATX Originale:

    Nato nel 1995, ha introdotto la presenza di diversi tipi di connessione:
    • Molex 4-pin: Presente già sullo standard AT, porta le linee +5 e +12V ad hard disk PATA, Floppy Disk 5,25", CD-ROM ed altre periferiche.
    • Molex 4-pin Breg: Usato per portare +5V e +12V al Floppy Disk 3,5" ed altre periferiche, presente già sullo standard AT
    • Molex 20-pin: Usato per la connessione con la scheda madre, viene introdotto per la prima volta.
    • Molex supplementare a 6-pin: Usato per portare energia supplementare da +3,3V e +5V alla scheda madre. Veniva usato per alimentare vecchi processori con circuiteria con logica a 3,3V qualora l'energia in arrivo dal molex principale a 20-pin non fosse sufficiente.


    Le specifiche prevedevano che il grosso della potenza fosse divisa tra le linee a +5V e +3,3V in quanto la maggior parte delle periferiche utilizzava queste linee. La linea +12V era relegata ai soli motori meccanici in movimento, come quelli delle ventole o degli hard disk meccanici, floppy e CD-ROM

    ATX12V 1.0

    Rilasciato nel Febbraio 2000, porta le seguenti modifiche:
    • Incremento della potenza sulla linea a +12V che inizia ad assumere maggior importanza.
    • Un molex 4-pin a +12V viene aggiunto come alimentazione supplementare della CPU. I Pentium 4 furono i primi processori a beneficiare di questa modifica.

    Prima dei Pentium 4 i processori erano solitamente alimentati direttamente a 5V o 3,3V invece di utilizzare il meccanismo trasporto a +12V e trasformazione in loco tramite VRM che abbiamo visto.

    ATX12V 1.1

    Rilasciato ad Agosto 2000, questo aggiornamento aumenta lievemente la potenza della linea 3,3V ed apporta altre modifiche minori.

    ATX12V 1.2

    Rilasciato a Gennaio 2002, in questo aggiornamento la linea -5V non diventa più obbligatoria ma solo opzionale. Tale voltaggio era usato solo per le logiche di alcune vecchie schede d'espansione ISA.

    ATX12V 1.3

    Rilasciato ad Aprile 2003, introduce i seguenti fix:
    • Aumenta significativamente la potenza della linea +12V
    • Definisce requisiti minimi d'efficienza per carichi leggeri e medi
    • Definisce livelli di rumorosità massimi
    • Introduce il connettore Serial ATA (SATA) in modo opzionale
    • Proibisce definitivamente l'implemento della linea -5V

    ATX12V 2.0:

    Rilasciata a Febbraio 2003 (un mese prima dell'1.3 con cui inizialmente coesiste), introduce pesanti novità:
    • Il connettore principale della scheda madre passa a 24-pin, i 4 pin extra servono per trasportare più potenza a +3,3, +5 e +12V.
    • Il connettore 6-pin AUX introdotto nella versione 1.0 viene rimosso perchè ora ci sono i 4 pin in più del connettore primario a trasportare più corrente a +3,3V e +5V
    • La linea a +12V viene ulteriormente potenziata diventando predominante su tutte le altre. E' fatto obbligo di avere almeno due linee indipendenti a +12V con protezioni da sovraccarico indipendenti: una per alimentare la CPU e l'altra per il resto dell cose
    • La potenza delle linee +3,3V e +5V viene considerevolmente ridotta
    • Diventa obbligatoria la presenza di almeno un cavo d'alimentazione SATA
    • Svariate altre modifiche minori

    ATX12V v2.01

    Aggiornamento minore di Giugno 2004. Viene rimosso un riferimento errato alla linea -5V più vari altri fix secondari.

    ATX12V v2.1

    Aggiornamento di Marzo 2005.
    • La potenza viene significativamente aumentata su tutte le linee, superando i 500W complessivi.
    • I parametri di efficienza minimi vengono alzati.
    • Viene introdotto per la prima volta il Molex 6-Pin per l'alimentazione supplementare delle schede video.
    • Vengono introdotti gli slot PCI-Express sulle schede madri a cui bisogna garantire un'alimentazione di 75W ciascuno.

    ATX12V v2.2

    Rilasciato nel corso del 2006, aggiunge un'ulteriore tipo di alimentazione aggiuntiva per la scheda grafica, costituito da un Molex ad 8-pin simile a quello da 6-pin già esistente, ma in gradi di erogare 150W.

    ATX12V v2.3

    Rilasciato a Marzo 2007 ed attualmente in vigore mentre scriviamo questa guida.
    • L'efficienza minima richiesta sale al 70%, ma viene consigliato almeno l'80%, in linea con le nuove disposizioni in linea con i nuovi mandati Energy Star 4.0
    • Il carico minimo richiesto per avviare l'alimentatore sulla linea +12V viene ridotto, dando compatibilità ai nuovi processori che hanno un basso consumo all'avvio
    • Il limite di 240VA per linea viene rimosso, permettendo alle linee a +12V di erogare più di 20A ciascuna

    ALTRI STANDARD OLTRE ALL'ATX:

    Oltre al modello di alimentatore più diffuso per PC che abbiamo visto in questa guida, esistono altri modelli di alimentatori in commercio. Prima di vederli rapidamente, iniziamo a sfatate i miti degli alimentatori che NON esistono in commercio. Lo standard ATX infatti indica l'insieme di una scheda madre, un case e un alimentatore con determinate caratteristiche. In seguito a questo standard, schede madri e case hanno assunto ulteriori forme e dimensioni che non necessariamente hanno coinvolto modifiche anche per quanto riguarda l'alimentatore. Ad esempio gli standard BTX (un ATX rovesciato), micro-ATX, micro-ITX, FlexATX ecc. sono tutti standard relativi a schede madri che non implicano modifiche necessarie per l'alimentatore, quindi tutte le schede madri appartenenti a questo standard possono essere tranquillamente alimentate da un normalissimo alimentatore ATX senza alcuna differenza rispetto a quanto visto sin ora.

    Discorso un pò diverso per i case, che se troppo piccoli potrebbero non supportare meccanicamente i classici alimentatori ATX che sono in formato PS/2, esistono quindi diversi "formati" della scatola esterna degli alimentatori che comunque rimangono ATX e questi sono: SFX, NLX, TFX, ecc.

    SFX: E' una semplice variazione di form factor.L'SFX ha dimensioni di 100 x 125 x 63,5 e ventole che variano dai 40 agli 80mm massimo. Tutti i restanti connettori sono identici al classico ATX.


    TFX: E' un altro form factor ridotto con stesse specifiche del classico ATX. Le dimensioni di un'alimentatore TFX sono approssimativamente 146 x 83 x 64 mm


    WTX: In questo caso ci troviamo di fronte a uno standard meccanicamente incompatibile al classico ATX in quanto i cavi dell'alimentazione primaria sono diversamente posizionati. Questo standard è raramente utilizzato su Workstation professionali multi-processore di fascia alta. Ha dimensioni di circa 150 x 230 x 86 mm

    XT, NLX, AT, AT baby, LPX, AMD GES: si tratta di una serie di standard e form factor che si sono susseguiti nel tempo ma che sono stati tutti accantonati e non vengono più commercializzati se non in particolari settori di nicchia

    Anche SFX e TFX sono due form factor ormai quasi introvabili che si avviano verso il tramonto. Per i case che non sono in grado di ospitare un classico alimentatore ATX infatti si fa sempre più strada un'altro tipo di alimentatore, il pico-PSU.

    Esistono poi ulteriori alimentatori per Rack di Server dalle dimensioni più svariate fatti su misura, ma stiamo già parlando di un'altro settore rispetto a quello dei Personal Computer.

    L'ALIMENTATORE PICOPSU:

    Una menzione di rilievo a parte merita l'alimentatore picoPSU che rispetta sempre lo standard ATX e quindi costituisce solo un diverso form-factor. Tuttavia questo è un formato molto molto diffuso se si estende l'insieme dei PC oltre a quelli fissi anche ai Portatili, Notebook, Netbook ecc. Il pico-PSU non è altro che l'alimentatore utilizzato dal 100% dei portatili, il quale ha poi trovato spazio negli HTPC e mini-computer fissi di più ridotte dimensioni e consumo, basati solitamente su schede madri mini-ITX o ancora più piccole.

    Il case di un portatile non sarebbe sufficientemente grande per contenere un'intero alimentatore con i suoi voluminosi trasformatori, toroidi PFC, raddrizzatori e quant'altro, quindi lo schema elettrico viene spezzato in 2: Il grosso dell'alimentatore è esterno al case del computer, solitamente racchiuso in una scatoletta nera anch'essa molto compatta alla quale va collegata la presa della corrente a muro. La presa di collegamento ad alta tensione sulla scatoletta può essere di diverso tipo e forma e non c'è uno standard assoluto, ci sono modelli bipolari, tripolari o con la classica presa esagonale dei computer fissi. In questa scatoletta c'è tutto il circuito d'ingresso e di trasformazione ed inoltre ci sono i raddrizzatori d'uscita che riportano la corrente in continua.


    A questo punto del circuito, un cavo (già a bassa tensione e quindi più sottile) parte dalla scatoletta sino ad arrivare al case principale, collegandosi tramite un jack (figura sopra). Tale jack di collegamento porta le tensioni a una piccola scheda integrata all'interno del case, sulla quale sono posti soltanto i filtri d'uscita, i convertitori DC-DC per le tensioni secondarie ed altri eventuali chip per le protezioni. Su questa scheda sono inoltre presenti le connessioni d'uscita definitive verso il resto dei componenti del computer e sotto questo aspetto troviamo alcune differenze tra i modelli destinati al mercato Desktop e quello Mobile: se per per i portatili troviamo micro-connettori appiattiti con cablagio ultra-flex, per i modelli destinati ai computer fissi troviamo invece i classici connettori a cui siamo abituati sul classico standard ATX, quindi alimentazioni SATA, 4/8-pin CPU, Molex 4-pin e soprattutto il 24-pin primario della scheda madre.


    Sempre per le versioni Desktop sono possibili due differenti varianti per i cavi verso i componenti: nella prima (foto sopra), la piccola scheda è fissata direttamente sul Molex 24-pin, mentre le altre uscite sono saldate direttamente al PCB; nella seconda variante invece, i cavi sono completamente modulari e il PCB è fissato al case del computer (occupando lievemente più spazio). In questo secondo caso sul PCB è presente un Molex simile a quello per la scheda madre da cui partono il 24-pin per la motherboard e tutte le altre connessioni.


    Per ovvi motivi di ingombro, ma anche per il tipo di periferiche meno esose di corrente a cui sono destinati, i tagli degli alimentatori picoPSU sono più bassi rispetto ai classici modelli ATX, tuttavia, i modelli di buona qualità conservano tutte le varie migliorie d'efficienza illustrate precedentemente con percentuali anche ben oltre l'80%.
    Ultima modifica di Danckan; 16-04-2012 alle 14:48
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  7. #7
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    La grande fatica è stata portata finalmente a termine! A voi i commenti, le impressioni e le segnalazioni di eventuali errori o richieste se credete che ci sia ancora qualcos'altro da approfondire. Da come la vedo io unendo queste tre guide ne sapete quasi più voi di quelli che li costruiscono gli alimentatori, ma potrebbe essermi sfuggito qualcosa

    http://www.techstation.it/forum/case...mentatore.html
    http://www.techstation.it/forum/case...nda-parte.html
    http://www.techstation.it/forum/case...-risparmi.html

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  8. #8
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    Discussione aperta fate tutti un applauso per il lavoraccio!
    Adesso me la studio ben bene, saltando però tutte le (eventuali) equazioni che troverò per strada, muahaha
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  10. #10
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    ce ne sono molte di meno qui, solo qualcuna per il PFC mi pare. il grosso della teoria stava nella prima parte

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